LIBRI Suicidi e amicizie d'autore

Gli artisti e la morte: storie di follie e autodistruzioni

    di Antonio Biancospino

Suicidi d’autore è un libro targato “Stampa Alternativa”. Costo 8 euro. Autore: Antonio Castelnuovo. Un tema tabù, il suicidio, considerato l’esito di un’incapacità di vivere, un atto debole e vigliacco. Solo in un caso il gesto si sublima in senso compiuto: quando ad attuarlo è un artista, che si chiami Majakovskij (nella foto) o Sylvia Plath. Il libro, quindici storie di artisti che hanno scelto il suicidio come suggello della loro esistenza, ha il sapore della vita, il gusto dell’odio e dell’amore che travolse Luigi Pistilli, attore di teatro, che prestava il volto agli sceneggiati televisivi, autore della più angosciante delle azioni riparatrici, quando si accorse di aver offeso l’ex compagna di una vita, Milva.

Nell’ultimo giorno della sua esistenza anche Cesare Pavese aveva in mente le donne, e chiese a Fernanda Pivano, sua ex compagna, di andarlo a trovare. Lei avrebbe voluto riconciliarsi, ma in quel momento la sorte del marito malato la frenò. Cesare si sarebbe accontentato di femmine di misera caratura, in quel tardo agosto, ma gli risposero che “era un musone noioso”. Le donne da lui descritte, sempre in bilico tra fedeltà e inganno, lo tradivano ancora. Scriverà sulla prima pagina dei “Dialoghi con Leucò”, prima di "farsi fuori" con sedici bustine di sonnifero: “non fate troppi pettegolezzi”. L’ultimo, lucido omaggio a Majakovskij.

 

Identico risultato ebbe la dipendenza di Vitaliano Brancati da Anna Proclemer. La sua vita si spense nell’angoscia quando la moglie si allontanò da lui definitivamente. La rovina di una vita affettiva traspare nelle sue “Lettere da un matrimonio”, così commentate da Sciascia: “c’è in queste lettere l’erotismo esistenziale dei siciliani, che consiste nel pensare e sognare la donna con tale intensità da non reggere poi alla presenza di lei, da esserne umiliati e devastati”.

Una follia da sodalizio artistico, la stessa che indusse Dino Campana a definire Sibilla Aleramo “una megera che mobilita contro di me il fango delle vie”, poiché l’aveva abbandonato, e lei a rispondergli che lui “si percoteva e mi percoteva, s’è distrutto e stava per distruggermi”. E che dire di Van Gogh e Gauguin? Forse il più famoso dei matrimoni artistici, anche perché precipitato nella tragedia di un Natale del 1888, quando Vincent minacciò l’amico con un rasoio. La famosa lama da barba con la quale, colto da rimorso, si recise un orecchio. Quasi prevedendo la fuga di Gauguin, il grande olandese aveva dipinto, qualche giorno prima, La sedia di Gauguin”, spiegando ad Aurier: “ho tentato di dipingere il suo posto vuoto”. In quella tela, invece, espresse la solitudine dell’artista, l’incompresa voglia di afferrare la vita e di esserne rapito che giustificò, anni dopo, con un colpo di pistola alla tempia. Anche Rimbaud, poeta maledetto, fu protagonista di un tentato omicidio: lui che, attraverso la poesia, cercava il disordine dei sensi e l’assoluto, trovò la fama nell’incontro con il dissipato e vizioso Verlaine, e non solo per avergli sparato contro in un momento di ubriacatura.

 

Parlando di poeti maledetti, è obbligatorio ricordare Chet Baker e Gerry Mulligan, profeti della vita esasperata e del cool jazz. Chet, l’angelo dalla faccia sporca, chiuse una parentesi di vita con un volo dal terzo piano di un hotel, in perfetto stile con un’esistenza frenetica tesa a mordere la vita a duecento all’ora. Una corrispondenza artistica bruciata in liti accese da alcool e droghe. Neppure la corrispondenza artistica con Dalì, invece, riuscì a salvare la vita di Garcia Lorca, i cui versi presagivano la morte. Si incontrarono a Madrid, nel 1919, in una residenza studentesca sopravvissuta alla Grande Guerra, frequentata da dandies e bohemiens. Dalì parlava di lui come del “fenomeno poetico nella sua integrità e crudità, confuso, sanguinante, vischioso e sublime, lucente di mille fuochi oscuri, velato dall’originalità della sua forma”. Voleva portarlo in Italia, a Villa Cimbrone, via dalla Guerra Civil, ma non riuscì a strapparlo al destino. Un attimo dopo, il poeta della cattiva morte venne fucilato a Granada, lasciando il più intenso dei testamenti artistici nell’Ode a Dalì, dove rivelava il comùn pensamiento che li legava. Ancora un’Ode all’amico segna la separazione drammatica tra Mario Ruoppolo e Pablo Neruda, Massimo Troisi e il suo pubblico. Un’ode alla vita, all’arte che sopravvive a qualsiasi spietato destino e che solo un destino d’autore può davvero svelare.





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