Materia grigia
La personale di Stefano Parisio Perrotti, Al Blu di Prussia fino al 1° Marzo
di Sara Giuseppina D'Ambrosio
La galleria Al Blu di Prussia proroga al primo Marzo la personale di Stefano Parisio Perrotti - Materia grigia - iniziata il 15 Gennaio, dando così maggiori opportunità per conoscere un artista napoletano che, nonostante un percorso artistico iniziato con gli studi superiori, si concede da pochi anni agli spazi espositivi.
Grafico pubblicitario di professione, Perrotti propone 35 piccole sculture che partono da pietre, a volte lavorate dal mare, altre laviche, o ancora da sanpietrini. Materiali, dunque, già impregnati di vita e storie, sui quali l’artista ne stratifica di nuove che sono frutto di quella Materia grigia che dà il nome alla mostra e che pure accumula ricordi e racconti.
Sono omini in carta pesta a dominare questi microcosmi di pietra attraverso pensieri e ossessioni (idea ben esemplificata da “Chiodo fisso”, scultura che vede un chiodo di ferro, di foggia antica, conficcarsi su una pietra lavica ed accettare l’abbraccio vigoroso, quasi fosse un’ancora di salvezza nel mondo più che una mania negativa, del personaggio protagonista). Piccoli esseri dalle fattezze antropomorfe raccontano la loro storia di pionieri di una realtà a volte sociale (“Gioco di squadra”), ma molto più spesso solitaria (“La faccia nascosta della mia luna era in fondo al mare”), perché riflesso della natura asociale della maggior parte delle battaglie che si è costretti a combattere con l’esistenza, sia concreta che intellettiva.
I titoli esplicativi delle opere rafforzano, o, talvolta, addirittura rivelano, il messaggio veicolato e questo in alcuni casi si fa morale del racconto, della favola, offrendo piccoli spunti di riflessione sulla realtà. Così ne “La preghiera del corrotto” si mostra un nuovo credo, oggi, probabilmente, il più largamente diffuso, la cui effige sacra è il denaro, qui simboleggiato da una moneta che il piccolo uomo stringe fra le mani unite in atto di preghiera mentre sta inginocchiato su un mondo questa volta non di pietra, ma fattosi rame in risposta alle brame umane.
“Ho sconfitto il mio pandemonio” riporta, invece, suggestioni teatrali attraverso la pietra-cosmo, quasi un volto umano abbozzato, e l’acrilico vermiglio che vi segna lacrime disomogenee, le quali ricordano a momenti gocce di sangue e a momenti stille di lava incandescente. La prostrazione e la posa del fragile soggetto sembrano rimandare a quell’Edipo a Colono di Sofocle, ben rappresentato al teatro greco di Siracusa per la regia di Daniele Salvo.
Le soluzioni più interessanti, però, le ritroviamo in quelle tre sculture (“Abbastanza bene”, “Rivoltato” e “Cambio vita”) per le quali l’artista adotta la base monodimensionale del quadro alla parete, utilizzando l’acciaio corten arrugginito. L’idea valorizza le opere, con scambi di superfici piane e figure rialzate, e ne accresce la mutevolezza, regalando giochi d’ombre più chiaramente percepibili.