Dopesick, storia di un farmaco maledetto

Michael Keaton protagonista della miniserie che racconta lo scandalo dell'Oxycontin

    di Mario Vittorio D'Aquino

Immaginate di poter lenire qualsiasi dolore con un semplice farmaco. La cosa potrebbe sembrare la panacea del benessere per il consumatore e l’Eden per le case farmaceutiche. Per di più, nonostante questo sia stato concepito come un comune oppioide, l’organo massimo di regolamentazione dei medicinali del vostro Paese assicura che in casi veramente molto rari possa causare dipendenza e si preoccupa di indicarlo sulle etichette. Allora lì sarebbe come scoprire il Sacro Graal della prosperità.

Questa combinazione dai poteri divini, a cavallo tra gli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000, in America, sulla base di uno studio – rivelatosi troppo sommario e sbrigativo – pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 1980, sembrava essere rilevata dalla Purdue Pharma, una colossale casa farmaceutica americana che promosse e lanciò il famigerato OxyContin, molto simile alla morfina. Il caso che vide coinvolta la citata big Pharma, il farmaco in questione e persino la Food and Drug Administration (FDA) scosse il mondo della ricerca ma non solo. A far riemergere una delle pagine più oscure della scienza medica a stelle e strisce ci ha pensato Danny Strong che ha sviluppato una miniserie, Dopesick – Dichiarazione di dipendenza, somministrata in otto episodi – tutti in pillole da un’ora circa – basandosi sul libro inchiesta omonimo e affidando la regia a Michael Cuesta.

La narrativa si avvolge e riavvolge come un bugiardino tra flashback e flashforward, riuscendo a definire i confini di quella che non è altro che una manovra spregiudicata, infame e ai limiti della legalità portata avanti dalla famiglia Sackler, proprietaria del colosso Purdue Pharma, e più in particolare del figlio Richard (Michael Stuhlbarg). Partita quindi la commercializzazione dell’Oxy prettamente nei Paesi più “operai” degli USA, con la connivenza omertosa della FDA, gli effetti allucinanti – è il caso di dirlo – si moltiplicano a macchia d’olio. La trama nello specifico si concentra nella vita di una giovane, figlia di una umile famiglia, che lavora in miniera col padre e quella del suo medico di base (un fantastico Michael Keaton) diffidente verso gli il consumo di oppioidi. Ma la fortissima campagna pubblicitaria sleale e disonesta promossa dalla Purdue Pharma pur di far monopolizzare il farmaco è efficace e molti cadono nella trappola anche per l’immorale comunicazione scientifica dei rappresentanti.

Le file per le prescrizioni di Oxycontin fuori le farmacie aumentano, così come i crimini, i furti e le morti di overdose per via della pillola maledetta. Si punta in maniera meschina sui consumatori deboli, già patologicamente coinvolti, rinchiusi nella perfida gabbia dell’astinenza tra una pillola e l’altra, in cui si vivono spettacoli di vita agghiaccianti. Due investigatori decidono di far luce sul caso, appoggiati dal procuratore, ma far emergere quadri di colpevolezza verso gli innominabili Sackler è sfida ardua nonostante l’appoggio di Bridget Meyer (Rosario Dawson) che ha un ruolo di rilievo nella DEA.

Tratto da una storia vera, Dopesick è una miniserie drammaticamente attuale poiché non si limita a mettere in luce un caso sconvolgente ma è uno spaccato anche contro la narrativa che pone la scienza come tecnica assoluta e risolutiva nella vita dell’uomo. Nella serie il farmaco è propagandato senza un accenno di dissenso, di disapprovazione anzi ai pazienti assuefatti si decide di dover somministrare dosi personalizzate e aggiuntive (vi ricorda qualcosa?). Ed è proprio qui che cade di fatto l’assunto scientifico poiché questa disciplina è approssimazione, dubbio, incertezza per antonomasia. Tra regolamentazioni sommarie e omissive, l’accecante Dio denaro e la collusione di organi di potere il caso Dopesick fece tornare alla ribalta un fenomeno – quello della dipendenza da farmaci -  che in America è tutt’altro che superato.





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