Juve Napoli, sentenza politica di Sandulli

Perche' la società azzurra è parte lesa e non ha costruito nessun 'alibi'

    di Davide Martino

In principio era il verbo e il verbo si è fatto ordinanza e l'ordinanza è diventata legittimo impedimento per poi trasformarsi nel definitivo 3-0 a tavolino, in breve tavolino. Nelle apatiche e tediose giornate di pausa dal campionato per l'infelice sosta delle nazionali resta viva e accesa nei cuori degli appassionati la violenta sentenza della Corte sportiva d'Appello Nazionale, presieduta dal professore Piero Sandulli che ha rigettato l'appello proposto dal Napoli aggravando le motivazioni della precedente pronuncia con l'insinuazione, del tutto gratuita perché indimostrata, della premeditazione. Per il Collegio giudicante in sostanza, il Napoli si è precostituito un alibi per non giocare la partita contro la Juventus, laddove non si comprendono le reali motivazioni per questa messa in scena. In uno sprezzante eccesso di zelo motivazionale, Sandulli avrà ipotizzato che gli azzurri temevano il viaggio in Piemonte per il terrore agonistico nei confronti di Ronaldo ovvero, per il dispiacere di giocare senza gli amati tifosi bianconeri o, ancora, per il disagio di non poter schierare l'estro di Piotr Zielinsky ed Elijf Elmas.

Alcun cenno viene fatto al reale motivo dell'impedimento disposto dall'ASL Na1 e NA3 che impediva al Napoli, perché gli azzurri di fatto erano impossibilitati a partire senza violare il codice penale, di garantire la tanto amata lealtà sportiva rispolverata come aggravante dal collegio di secondo grado.  Gli azzurri la settimana prima del match dello Juventus Stadium sfidavano il Genoa che a distanza di pochi giorni dalla partita del San Paolo annoverava ben 19 giocatori risultati positivi al Covid. In sostanza la società azzurra nonché l'organo sanitario territoriale decidevano di stroncare sul nascere il cosiddetto effetto cluster impedendo, quindi, la reazione a catena che avrebbe potuto causare la enormità di contagi, in primis tra i bianconeri di Torino e più in generale verso le altre società di serie A; in barba allo schizofrenico regolamento sportivo, mai così inadatto e approssimativo. Del resto è risaputo che i tempi di incubazione di questo subdolo virus possono essere anche di 20 giorni e poco male che solo due giocatori partenopei sono risultati contagiati, poiché il vero motivo della non partenza per il capoluogo piemontese era dettato dalla necessità di neutralizzare la probabile catena di contagi post Napoli Genoa sfruttando la imminente sosta della nazionali di settembre.

Da quel momento in poi sulla scorta del solito bipolarismo all'italiana si sono susseguite le più disparate analisi, lontane dal merito della vicenda ma sempre più vicine al complottismo da bar perpetrato da molti opinionisti occasionali divenuti soloni del diritto e della congiura, al punto da ipotizzare il tacito accordo tra Aurelio De Laurentis e Vincenzo De Luca finalizzato a precostituire l'alibi tanto caro al giudice Piero Sandulli. La verità ovviamente è ben altra e il buon Gattuso, nella sua spontanea sincerità ha ribadito come avrebbe voluto giocarla quella partita anche e, direi soprattutto, contro una Juventus in totale balia dell'approssimazione tattica della nuova gestione Pirlo. Oggi la situazione è complessa perché il processo mediatico all'italiana ha preso il sopravvento, mentre la linea difensiva azzurra nelle mani e nella mente del mai vincente avvocato Mattia Grassani perde lucidità tralasciando il vero unico obiettivo della mancata partenza per Torino, che come detto era semplicemente di preservare il campionato dal richiamato effetto cluster.

Senza dubbio il Napoli non sarebbe potuto partire per i richiamati motivi e anche per evitare violazioni di disposizioni di rango superiore al regolamento federale che oggi sembra sempre più vittima delle necessità economica a discapito della salute di protagonisti, sempre più alla mercé dello "spettacolo a tutti i costi". In definitiva la decisione di quello che sembra sempre più un processo politico passa al terzo grado di giustizia sportiva del Coni che dovrà con energia e illuminismo evitare il trasferimento delle competenze alla giustizia ordinaria del Tar Lazio assicurando la lealtà della classifica che può essere garantita esclusivamente dal rettangolo verde.





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