Songbird, il cinema della pandemia

Il film, prodotto da Bay, su una Los Angeles in lockdown per il Covid 23

    di Mario Vittorio D'Aquino

Nell'ultimo anno e mezzo lo scenario mondiale ha lasciato spazio a tante interpretazioni e immaginazioni distopiche e post-apocalittiche nel mondo del cinema. Alcuni frammenti di pellicole potevano sembrare assurdi fino a poco fa ma le nuove disposizioni dell'élite mondiale sembrano giocare a chi più riesce a “spararla grossa”. L'indignazione parte tanto da chi difende posizioni illogiche per tornaconti personali di merito o mediatici, quanto da chi si convince, senza alcuna base giuridica o scientifica, con fare talvolta autoritario, di perseguire ordinamenti surreali, creando un panorama desolante di incoerenze pericolose e di infodemie. Nel nostro caso viene in aiuto il lungometraggio di Songbird (2020), prodotto da Michael Bay, un film a tema, e – forse per questo – il più vicino alla realtà. Girato interamente nella città di Los Angeles nel primo lockdown, l'ambientazione del prodotto diretto da Adam Mason è nella città americana nel 2024, catastroficamente spopolata e decimata dalla variante del Covid-19, chiamata Covid-23, che uccide un infetto in sole 48 ore. La popolazione mondiale è chiusa da 4 anni in casa. Il protagonista è un rider, Nico (KJ Apa), che con il braccialetto giallo, oggetto che ne dimostra la piena immunità, può attraversare la città senza impedimenti (o quasi...). Nico è fidanzato con Sara, una ragazza che abita con la nonna. Proprio la nonna una sera avverte di star male manifestando una forte tosse. I controlli orwelliani applicati e le rigide regole di confinamento imposte complicheranno maledettamente le cose per i due giovani...

Fortunatamente il virus che conosciamo noi non ha decimato città della portata di Los Angeles né uccide sistematicamente ogni individuo in 48 ore; e nemmeno possiamo ritenere (o almeno non ancora) di essere rinchiusi da 4 anni in severissimo lockdown in cui ogni strada è pattugliata dall'esercito. Ma allora perché Songbird, come detto prima, si avvicina al nostro presente? Dietro la sceneggiatura di facciata c'è molto di più: il messaggio che si cela dietro il film può essere considerato come scoprire Narnia. Innanzitutto il mestiere di Nico non è casuale: il rider o fattorino che dir si voglia, è stato uno dei lavori che più “ha funzionato” in termini di occupazione durante la pandemia. Il suo mezzo di spostamento, la bicicletta, è continuamente geolocalizzata con GPS dal suo datore di lavoro che non lo perde di vista un secondo.  Nel film intravediamo anche una ricca famiglia che utilizza un app che scannerizza il volto per rilevare la presenza o meno di agenti patogeni da Covid: per essere un po' sadici, ma nemmeno troppo, potrebbe far ricordare l'app Immuni, quella che il governo Conte-bis consigliava di scaricare per tracciare qualsiasi contatto con un potenziale positivo.

Non mancano nel film i diktat come Isolatevi! Distanziatevi! Sanificatevi! raccomandati dal capo di dipartimento di igiene, impersonato da Peter Stormare col suo fascino tenebroso, che hanno accompagnato anche le nostre giornate. Ma quello che più evidenzia il film è la totale amnesia dell'importanza delle relazioni interpersonali, il grigio della monotonia quotidiana segregata in casa, l'impossibilità di lavorare, la desolazione e la narcotizzazione a qualsiasi forma di conflitto e di ribellione intellettuale nelle menti dei cittadini, tutti inermi ad attendere passivi che qualcosa cambi, a stare come dicono i Maneskin, “zitti e buoni”. Quest'ultima rappresentazione è quella decisamente più affine al nostro odierno vivere: per mesi l'accettazione totale a qualsiasi ordinamento in nome della salute pubblica e l'accoglienza euforica alle misure allentate per respirare un minimo di libertà gentilmente concessa è stato il metronomo dello scorso anno che si è trascinato in parte anche in questo.

Nel frattempo dal 2020 ad oggi i capri espiatori delle risalite dei contagi non sono più i giovani rei di essere stati irresponsabili e ribelli alle norme ma i no-vax e i negazionisti, due denominazioni di persone distinte ma che la stampa mainstream accomuna nello stesso calderone dei “cattivi”. Forti, queste testate giornalistiche delle frasi agghiaccianti del virologo (lui no, non se n'è mai andato) Roberto Burioni che, con un'uscita infelice e ben poco scientifica, ha proposto il pagamento della piattaforma Netflix ai dissidenti del vaccino in modo tale che possono rimanere a casa “come sorci”. Ante litteram riusciamo a cogliere lo stesso obiettivo mediatico nelle parole del capo di Dipartimento d'igiene che in uno scontro con Nico definisce “gli immuni come dei” a cui tutto è concesso. Illuso, Burioni, che non si stia già avviando al ripristino delle zone di diverso colore e alle norme di contenimento del contagio nella prossima stagione autunnale. A colpi di DPCM incostituzionali ci si è asserviti con decisione al tecnicismo monarchico draghiano. Le discussioni alla Camera ad oggi rappresentano un vero miraggio, si attende celermente che il Premier esca dalla sua Versailles e dica al popolo di accontentarsi della brioche.

Sebbene non sia la presa della Bastiglia, c’è chi ha iniziato in Francia prima, e in Italia poi, a scendere in piazza contro il Green pass, una certificazione che testimonia l’immunità del singolo cittadino, proprio come il braccialetto giallo in Songbird. Arriveremo, come già inizia a circolare sui media, a una democrazia in cui il diritto del voto sarà solo per i possessori del pass? Ricordiamo che rimane il singolo paziente ad assumersi le responsabilità conseguenti al vaccino poiché, almeno formalmente, questo non è obbligatorio (superata così la Legge 210/92 della Corte costituzionale che prevede un indennizzo per i danneggiati da vaccinazioni obbligatorie). Resta da chiedersi, dunque, che prezzo hanno la libertà e il principio di autodeterminazione. Sicuramente più di una brioche.





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