Essere fedeli: una moda passata

    di Amedeo Forastiere

«Io accolgo te come mia sposa con la grazia di Cristo, prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita»Questo è il rito del matrimonio religioso. Quello civile è molto simile, manca solo la prima parte (con la grazie di Cristo). Tutto il resto, cioè la fedeltà, il rispetto, l'amore per la vita, coincide.

La promessa, però, diventa un proposito spesso non rispettato. Sarò antico se dico che oggi è prassi la fine di un matrimonio per essere contravvenuti alla promessa fatta nella casa di Cristo o in quella del sindaco? Certo, un amore non finisce solo per infedeltà. Spesso sono la paura, la scarsa maturità nell’affrontare quei diritti e doveri che vivere insieme a un’altra persona, comporta. O il non voler rinunciare a qualcosa del proprio privato. O la faticosa responsabilità di essere genitore, quando si è ancora legati al cordone ombelicale. Peggio quando ci si accorge di essersi sbagliati nella scelta della persona accolta nella propria vita con il giuramento dell’eterno amore. Ma tralasciando questi infiniti casi, è frequente che un matrimonio finisca per infedeltà da parte di uno dei coniugi.

In passato, in caso di tradimento, per l’offeso, quasi sempre l’uomo, era quasi un obbligo dover difendere il proprio onore, e spesso era la stessa comunità a spingerlo a difendere l’onore con il delitto. Il delitto d’onore, riconosciuto con l’articolo 587 c.p. prevedeva l’attenuante dell’offesa, una condanna mite: da tre a sette anni di reclusione. Già dal dal 1890, ovvero dai tempi del ministro della giustizia Giuseppe Zanardelli del governo Crispi, il codice penale prevedeva il delitto d’onore, confermato poi nel 1930 dal ministro Alfredo Rocco (il codice Rocco tuttora in essere) del governo fascista. Fino al 5 settembre del 1981, quando con legge n° 442/1981 fu abrogato l’articolo 587 e dunque il delitto d’onore.

Il delitto d’onore fu usato come escamotage nel 1961 per il film Divorzio all’italiana di Pietro Germi, tratto dal romanzo di Giovanni Arpino Un delitto d’onore, in cui recitarono Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli e Daniela Rocca. Il barone Fefè, interpretato da Mastroianni, stanco della moglie Rosalia (Daniela Rocca), brutta, grassa, baffuta e assillante, si innamora della cugina, la sedicenne Angela (Stefania Sandrelli). E si inventa un tradimento della moglie. Così, per difendere l’onore, importantissimo nella sua Sicilia, il barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè, ammazza la moglie Rosalia per questione d'onore. Dopo la brevissima condanna, da vedovo sposa la bella cugina Angela. Fu la fantasia di Pietro Germi a scrivere quella sceneggiatura, ma siamo veramente sicuri che fosse tutta fantasia?

Ma andiamo oltre, e torniamo ai nostri tempi, dove non c’è più il delitto d’onore. Non c’è nemmeno più l’adulterio come reato penale. Tempo addietro il dovere di fedeltà, inteso come fedeltà sessuale o sentimentale, aveva un valore così rilevante che l’ordinamento giuridico prevedeva conseguenze penali. La moglie che tradiva il marito, l’adultera, rischiava fino a un anno di carcere (art. 559 c.p.). Mentre per il marito che tradiva e abbandonava la famiglia per andarsene con un’altra donna, per il concubinato, c'era una reclusione fino a due anni (art. 560 c.p.). Ad abolire questi due articoli arcaici, ci pensò la Corte Costituzionale, nel 1968 e 1969, dichiarando costituzionalmente illegittimi questi due articoli, sicché oggi la violazione del dovere di fedeltà non costituisce più reato penale ma solo civile per l’addebito del divorzio. Quante cose sono cambiate, in molti gridano: giustizia è fatta, ma siamo veramente sicuri che depenalizzare certi reati (ovvio, escluso quello del delitto d’onore) siano state veramente delle conquiste?

La fedeltà era il pilastro che reggeva un matrimonio per tutta la vita, anche se spesso le tentazioni rendevano la promessa molto difficile. Sarò un anziano nostalgico, ma quando sento coppie che festeggiano 25-30, qualcuno addirittura i 50 anni di matrimonio, provo tanta tenerezza. Gianni e Marisa, amici da sempre, quest’anno festeggeranno i 50 anni di matrimonio. Li vedo emozionati nel preparare l’evento come due giovincelli il giorno prima del matrimonio, mentre i nipoti li guardano, come animali del passato, quel passato fatto di veri sentimenti, oggi sgretolati da leggi e leggine della moderna civiltà.

Mi fermo qui, ma prima di lasciarvi mi vengono in mente i versi di una vecchia canzone del 1915 conosciuta in tutto il mondo, scritta da Aniello Califano, che forse si starà rivoltando nella tomba per tante conquiste di civiltà che rendono i suoi versi solo un motivetto da canticchiare: Oje vita, oje vita mia oje core ‘e chistu core si’ stata ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’rdeme sarraje pe’ me!

Alla prossima, ragazzi.





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