Titone, l'immortale che invecchia

Nuova puntata della rubrica «La persistenza del mito» dedicata all'illusione della giovinezza

    di Sveva Della Volpe Mirabelli

Discendente della stirpe di Dardano, genia leggendaria e privilegiata del dono della bellezza, Titone era tra i più avvenenti principi troiani. La sua giovinezza avvolta di grazia e fulgore rapì il cuore di una dea. Rapì e fu a sua volta rapito. Gli immortali si rincorrono e rincorrono i mortali, e spesso amore è preceduto da polemos.
Eos era la dea dell’aurora. Chiare spalle alate, veste color zafferano, aveva il compito di stendere con le sue rosee dita la prima luce del mattino. Annunciava l’apparire del giorno, l’arrivo di Elio sul suo carro solare. Sensuale e avventurosa non esitò a invischiarsi in una imprudente relazione con Ares, il Signore della guerra. Inevitabile il conflitto che ne derivò. Afrodite, amante del bellicoso dio, fu presa dall’ira per il tradimento subito e punì la figlia di Iperione, condannandola a bruciare di desiderio per i giovani mortali. Fu così che Eos, quando incontrò Titone, se ne innamorò perdutamente. Lo rapì e portò in Aethiopia. Lì ebbero due figli, Emazione e Memnone. L’ardente passione spinse la dea a rivolgersi a Zeus affinché al troiano fosse donata l’immortalità. L’ottenne. Vissero felici giorni d’estasi. Con il passare del tempo però la bellezza dell’eroe cominciò a declinare, la pelle a raggrinzirsi. Mentre il volto si increspava di rughe anno dopo anno, secolo dopo secolo, il corpo rallentava i movimenti. L’ingenua aveva dimenticato di chiedere che all’immortalità si accompagnasse l’eterna giovinezza. Come sfioriva lui così inaridiva il dolce sentimento di lei per lui. Se ne prese cura, lo nutrì di ambrosia e coprì di ricche vesti. Ma, quando la vecchiaia si manifestò nella sua implacabile irreversibilità, Eos chiuse il consumato suo amore nel talamo, serrandone le porte. Del lontano splendore regale non rimase che un fil di voce secca e spoglia. Fu, infine, trasformato in cicala.
Da allora sul ciglio dei rosati mattini d’estate si riversa un perenne canto d’amore. Come se il cuore dell’alba fosse, a ogni caldo, nuovamente rapito.

Da Cicala! di Federico García Lorca:

Ma tu, cicala incantata,
prodigando suono muori
e resti trasfigurata
in suono e luce celeste.

Cicala!
Beata te,
poiché ti avvolge col suo manto
quello Spirito Santo
che è la luce.





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