Dieci piccoli indigeni

Un’estate con i gialli di Patrizio Fiore

    di Maria Neve Iervolino

«Per le strade e i vicoli di Napoli incontri persone ma soprattutto storie». Patrizio Fiore, forte del successo di “Il ricamo mortale”, romanzo noir che si snoda tra affari camorristici e sanità napoletana, torna con “Dieci piccoli indigeni, ovvero i giallini napoletani” (Homo Scrivens), una raccolta di racconti perfetta da gustare sotto l’ombrellone.

Patrizio Fiore, medico napoletano e dirigente dell’ASL Napoli 1 Centro, è arrivato alla scrittura grazie all’amore verso la sua città e a una forte vocazione da investigatore. L’ambientazione, infatti, è il punto forte della sua produzione letteraria, poiché il capoluogo partenopeo possiede geneticamente un’anima santa e diabolica insieme, che bene si presta a essere protagonista occulta di gialli e noir al cardiopalma, predisposizione che Fiore esalta e porta all’ennesima potenza.

“Dieci piccoli indigeni” è una raccolta composta da dieci racconti ambientati in mondi profondamente diversi l’uno dall’altro anche se attigui e contenuti nella stessa città: Napoli. La Napoli ferina dei colletti bianchi, la Napoli dell’abusivismo edilizio, la Napoli dell’asse mediano e della rete violenta che si snoda intorno a San Giovanni a Teduccio. Tanti protagonisti per i dieci racconti corali, ogni racconto parla la lingua degli avvocati di piazzetta Nilo, o quello dei giornalisti formatisi sulla strada.

Il libro strizza l’occhio ai classici già dal titolo. Questo però è l’unico richiamo diretto alla tradizione del genere privilegiato da Fiore. Anche se si avverte lo studio, e soprattutto l’amore, per i mostri sacri del genere, nell’opera è vivo e percepibile lo stile peculiare dell’autore. Già a livello linguistico, infatti è presente una miscellanea di italiano e dialetto identificativa di ogni personaggio, sia nei dialoghi diretti,  sia nei momenti di focalizzazione interna del narratore. Questo espediente rende subito riconoscibili le parole e i pensieri del personaggio sul quale si deve concentrare l’attenzione, e fa in modo che la lettura resti scorrevole nonostante la complessità dell’azione. Cifra stilistica dell’autore già presente nella sua prima opera di fiction.

Facilità di lettura e trame avvincenti rendono il libro un perfetto diversivo dalla routine cittadina, e in questa stagione anche la compagnia ideale per i pomeriggi in spiaggia. Questa estate sarà facile riconoscere i lettori dell’ultimo Fiore,perché li si vedrà sussultare sul lettino e partecipare alle risoluzioni dei misteri, magari incitando i beniamini di turno. Questo grado di coinvolgimento è, a livello narrativo, il risultato di un sapiente mix di storie di quotidiana infelicità e gioie comuni, il tutto nella cornice di un giallo da risolvere mettendo insieme pezzi di cronaca nera e storie familiari, in un modo che richiama lo Sciascia più apprezzato.

«Napule è ’nu paese curioso è ’nu teatro antico, sempre apierto» scriveva Eduardo De Filippo, è questo senso di commedia perenne che la forma breve amplifica e valorizza, perché, come scrive Fiore nella chiosa finale dell’opera, il racconto è «una storia breve che spesso apre le porte a lunghe riflessioni».

Alla fine del testo è presente anche un’utile «hit parade» dei dieci romanzi gialli consigliati dall’autore. Va dai classici di sir Arthur Conan Doyle e Agatha Christie fino a quelli che sono a tutti gli effetti i classici moderni: le indagini del commissario Montalbano, di Andrea Camilleri, e quelle di Ricciardi scritte da Maurizio de Giovanni.

Menzione d’onore va alla copertina, di pregio artistico come fu anche per “Il ricamo mortale”, in cui si vede piazza del Plebiscito tinta di giallo. Scelta del luogo non casuale poiché proprio lì, più che nelle altre zone cittadine, s’incrociano quotidianamente due mondi di Napoli, quello della borghesia più elegante e degli scugnizzi dei Quartieri. Protagonisti in egual misura delle vicende criminali raccontante all’interno del volume.

«Se tu facessi l’agricoltore, prima di zappare e seminare, cosa dovresti fare? […] Dovresti conoscere la terra su cui andrai a versare il tuo sudore così da adoperare gli strumenti migliori per ottenere il risultato che vuoi». Consiglia Stefano Capece al suo giovane apprendista nel racconto d’apertura “Mai scrivere prima”. Quello che il navigato cronista fa con gli strumenti della sua professione di giornalista, Fiore lo fa con le parole. “Dieci piccoli indigeni” è un prodotto artigianale, in cui si avverte il lavorio febbrile di pre stesura compiuto dell’autore: osservare il teatro napoletano e dissodare il terreno cittadino, fatto di sangue e sporcizia, ma anche di tesori nascosti e grande umanità.





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