LIBRI I chirurghi dei potenti

Ricciardelli racconta i bisturi che hanno inciso la storia

    di Antonio Di Dio

Quando la storia ci chiama, è giusto porci con stupore e rilassato interesse verso un sapere che non è da tutti, che nel caso de «I chirurghi dei potenti» di Nicola Ricciardelli (Iuppiter Edizioni) è un vero dono. Il chirurgo e docente universitario Ricciardelli vanta una profonda conoscenza storica dell’arte medica e regala un bellissimo affresco dei chirurghi di corte, erroneamente mal considerati e dimenticati, ma oggi rivalutati come confidenti e di punti fermi di una storia lontana. Il libro si divide in tre parti, che in ordine cronologico ci aiutano a delineare un percorso evoluzionistico dell’arte medica e dei malanni dei potenti. In principio galeotta fu la calvizie di Giulio Cesare, che segnò la nascita, tra l’imperatore e Asclepiade di Bitinia, della prima vera relazione sui generis tra potente e medico illustre. 

Aneddoti curiosi divertono la lettura come l’Augusto intento a impiastricciarsi la pelata con un intruglio di vino, aceto ed escrementi di topo. Una scrittura mai piatta conduce verso i territori del caldo Oriente alla corte dello Shahanshah e alla figura di Avicenna, il “principe dei medici”, nonché filosofo, matematico, poeta e amico fidato del Re di Persia Ala-Al-Dawla. Passando per La scuola Salernitana moderna e avanguardista si arriva all’epoca del papato temporale e dell’archiatra, medico personale del Papa. Come racconta Ricciardelli non erano solo i Papi ad assicurarsi le cure dei migliori medici, anche i nobili avevano buona abitudine a voler pagare a suon di denari la sventata morte o nel caso contrario di Lucrezia Borgia che «vittima di frequenti malori, era solita far voti a santa Chiara e puntualmente una volta ristabilitasi, le attribuiva tutto il merito, evitando di pagare il medico che l’aveva curata».

Di più lauta riconoscenza invece fu Luigi XIV a cui vane erano valse, si vede, le preghiere per le sue natiche doloranti, che il re Sole affidò alle mani e al bisturi di Charles François Felix de Tassy. Con sapiente conoscenza l’autore ci proietta, senza lasciare nulla al caso, in un’età moderna e contemporanea, citando casi autorevoli di figure politiche e non, che scomparsa la nobiltà regnante di fine settecento e il potere temporale del papato, determinano un assetto di profondi cambiamenti anche dell’arte medica, come la nascita del farmaco e della “Farmacia degli Incurabili” nella Napoli di Gennaro Rispoli. Da Corvisart, di cui Napoleone Bonaparte dirà «non mi fido della medicina ma mi fido di Corvisart», a Zannetti che salvo la gamba di Garibaldi dal foro nefasto di una pallottola, ancora una volta si delinea una storia curiosa che trasmette stupore e intenerisce, quasi naturalizza figure imponenti che ai nostri occhi la cattiva salute rende più umani. Una storia che fa sorridere è quella di Togliatti che, in risposta ad una parcella troppo salata, dirà «eccole il saldo, ma è denaro rubato » al medico Pietro Valdoni che ribatterà «la provenienza non mi interessa». Un Valdoni che si muoverà con sapiente maestria tra sacro e profano annoverando tra i suoi pazienti anche Papa Giovanni XXIII e Paolo VI. Un novecento ricco di eventi drammatici consegna alla cronaca un Vaticano sempre più immerso in una nebbia pericolosa, tanto da parlare del chirurgo Francesco Crucitti, che in quel giorno del 13 maggio del 1981 incrociò la vita di un uomo vestito di bianco colpito a morte, come di un angelo. Crucitti opererà altre due volte Paolo Giovanni II. Il resto è storia, direbbe qualcuno. Sarebbe ingeneroso voler relegare questo libro all’interno di un genere; «I chirurghi dei potenti» è la testimonianza di un uomo, Ricciardelli, che con precisa conoscenza del territorio e un ritmo notevole, cavalca i tempi che furono entusiasmando il lettore, che incauto si appresta a leggere e sognare di un passato profano e misterioso.





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