La Papessa

Il primo Arcano che raffigura una donna

    di Maurizio Pacelli

La Papesse è il primo Arcano che raffigura una donna. Così come Il Matto e il Bagatto, presi insieme, rappresentano l’anima e la personalità dell’essere umano ovvero, in qualche misura, la psiche come agglomerato indistinto, la Papessa è l’inizio della differenziazione che si esplicita attraverso la separazione dall’Uno del principio femminile. Il numero due, che la contraddistingue, rafforza il concetto di separazione, processo attraverso il quale, come in uno specchio riflesso, può avvenire la conoscenza, di sé e del mondo. Una volta che Il Bagatto ha deciso di intraprendere il viaggio, la prima fase da superare è quella della conoscenza attraverso la rinascita e la rivelazione, l’uovo e il libro. Tuttavia rivelare, se implica un lasciar emergere, ha in sé il significato secondario, ma non meno importante, di ri-velare nel senso di nascondere nuovamente. Infatti, La Papesse ha un velo dietro di sé che nasconde, ma allo stesso tempo consente di accedere a significati più profondi: «… il velo può essere l’intermediario necessario per accedere alla conoscenza: esso infatti filtra la luce per renderla percepibile...» (Chevalier). È una sacerdotessa, pura, come indica il colore bianco della pelle, e fertile, come l’uovo in evidenza fa intendere. Anzi è la sacerdotessa. Gli studiosi dei Tarocchi convengono, in modo quasi univoco, nel ritenere che la lama rappresenti la grande dea Iside. Il Mito narra che Iside, sposa e sorella di Osiride, ricostruì il corpo del marito, smembrato dal fratello, raggruppando i pezzi che erano stati sparsi eccetto uno, che non riuscì a trovare e che ricompose lei stessa: il pene. Così la dea si fece fecondare e nacque Horus. Tuttavia Osiride, sebbene in vita, non poteva vivere sulla terra e così divenne il re dei morti. Già in questo racconto si intravedono temi che saranno riproposti e ampliati nella cultura greca e poi in quella cristiana. In particolare la morte-rinascita-morte, e la fecondazione ottenuta per il tramite dell’uomo ridotto però, a mero strumento. Nell’iconografia classica Iside è spesso rappresentata seduta su un trono mentre allatta il figlio, così questa immagine ha percorso i millenni fino ad arrivare a noi nella veste della Madonna. Il culto di Iside si è diffuso anche in luoghi a noi molto vicini. Benevento è una città rappresentativa in questo senso, giacché costituisce un unicum del culto della dea fuori dall’Egitto. Domiziano, fra l’88 e l’89 d.C. fece erigere un tempio in suo onore e si ritiene che la splendida chiesa di Santa Sofia, fondata nel 789 dai Longobardi, abbia al suo interno delle colonne di quel tempio. Entrambe, Iside e Sophia, sono riunite proprio nel significato più profondo della Sapienza, quella Universale e mistica, come recita uno dei tre inni in onore ad Iside a noi pervenuti: «Perché io sono la prima e l’ultima, Io sono la venerata e la disprezzata, Io sono la prostituta e la santa, Io sono la sposa e la vergine, Io sono la mamma e la figlia, Io sono le braccia di mia madre, Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli. Io sono la donna sposata e la nubile, Io sono colei che dà la luce e colei che non ha mai procreato, Io sono la consolazione dei dolori del parto. Io sono la sposa e lo sposo, E fu il mio uomo che mi creò. Io sono la madre di mio padre, Io sono la sorella di mio marito, Ed egli è il mio figliolo respinto. Rispettatemi sempre, Poiché io sono la scandalosa e la magnifica».





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