LIBRI Il vecchio e il mare

Il capolavoro di Hemingway, metafora della lotta del popolo «bianco» ai tempi del Covid 19

    di Giordana Moltedo

È la generazione che il Coronavirus si sta portando via. La generazione che ha combattuto la guerra e che dalle macerie ha contribuito a ricostruire l’Italia, adesso si trova nel silenzio e nella solitudine delle mura delle proprie case, di una residenza per anziani, o ancora di un ospedale, a combattere l’ultima guerra contro un nemico invisibile che però ha il nome di Coronavirus. E in quello che è il cinico meccanismo di una guerra, c’è chi sopravvive e chi capitola. E così, la lotta silenziosa e dignitosa di questa generazione, ricorda la lotta solitaria intrapresa dal vecchio pescatore Santiago, protagonista de Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Ancora una volta un classico si rivela una guida dei sentimenti vissuti in questi tempi incerti perché, travalicando ogni spazio temporale, l’avventura solitaria di Santiago e la privazione del rapporto d’amicizia con il giovane aiutante Manolín, rimandano alla solitudine  che i nostri “grandi vecchi” stanno vivendo in questi mesi. E se andiamo a rileggere anche le parole che Hemingway adoperò per spiegare al suo editore l’essenza di questo romanzo breve, le stesse assumono un eco maggiore, alla luce odierna dei fatti,  perché la storia del pescatore Santiago rappresenta, così come ribadito dallo stesso autore, la dignità di un uomo “giunto all’ultima fase della sua esistenza”.

Santiago, infatti, è un vecchio pescatore descritto da Hemingway come “magro e scarno” e con “rughe profonde sulla nuca”, ma con degli occhi “allegri e indomiti” che non sembrano farlo corrispondere al suo “status di vecchio”. Ma la storia di Santiago è la storia di un pescatore sfortunato in eterna lotta con quella natura spesso benevola, altre volte meno, che da ottantaquattro giorni non gli fa più pescare un pesce. In tutto questo, la famiglia del suo giovanissimo aiutante Manolín, costringe il giovane ad imbarcarsi su un altro peschereccio. Il vecchio, così lo chiama l’autore nel corso del romanzo, decide di partire in solitaria spingendosi nell’alto oceano. Quest’attraversata però si rivela piena di insidie per l’azione di una natura indomabile che si rivela in tutta la sua ferocia quando, dopo aver pescato un pesce spada, il più grande che Santiago abbia mai pescato, si trova a dover affrontare diversi pescecani attratti dall’odore della carne morta. Santiago difende con tutte le sue forze quel pesce, simbolo di una gioia che si rivela effimera, ma alla fine è sempre la natura ad avere la meglio sull’uomo e infatti di quel pesce spada arriverà ben poco a riva.

Ma andando oltre la storia in sé, sono i sottotesti ad avere la loro centralità. Il primo tema che salta agli occhi del lettore è il rapporto dell’uomo con la natura. Un rapporto conflittuale perché, se la natura affascina, al tempo stesso miete anche paura, terrore. E così, quel mare descritto da Santiago come una donna e da lui declinato in spagnolo come  “La mar”, porta anche ad una situazione di conflittualità, perché gli elementi della notte, del vento, la distesa oscura di acqua e le creature che popolano quest’ambiente generano spaesamento e spesso lotte. Non solo, ma la traversata in solitaria del vecchio Santiago porta alla luce anche la solitudine e soprattutto i fantasmi che riguardano i “nostri vecchi”, che il protagonista del romanzo affronta con grande dignità, confrontandosi a viso aperto con se stesso, attraverso dei lunghi monologi. Eppure, in questa amara uscita di scena di Santiago, tutti nel villaggio di Cojìmar (a una decina di chilometri a est de l’Havana) resteranno ammaliati dall’impresa compiuta dal grande vecchio. E sono proprio le imprese compiute dai nostri vecchi come Santiago, che rimarranno impresse nella storia, così come gli abbracci e l’affetto che il giovane Manolín dispensa a Santiago alla fine dell’impresa. Abbracci che sembrano corrispondere a quelli che noi daremo ai nostri vecchi quando potremo finalmente rivederli senza essere per loro un pericolo.

Se la potenza di questo romanzo arriva così forte in questi tempi odierni, lo dobbiamo altresì alla grande capacità di Hemingway di aver sempre narrato storie vissute in prima persona,  mescolate sapientemente con gli accadimenti della realtà circostante. Elementi del reale che, così come descritto da Fernanda Pivano in un Nota ai testi del secondo volume del Meridiano che raccoglie i romanzi di Hemingway, inseriti in “una struttura narrativa sottolineata dalle onde del mare” che, grazie alle straordinarie abilità di Hemingway,  riescono ad unire “arte e natura, la verità e le poesie delle cose reali”. Eppure, in quello che è il solito paradosso dei tempi, Il vecchio e il mare non venne ben accolto dalla critica dell’epoca, ricevendo invece un ampio consenso da parte del pubblico, visto che il romanzo venne pubblicato sulla rivista “Life”(1952).Tale pubblicazione permise a Hemingway di conseguire il Premio Pulitzer. Un riconoscimento, quest’ultimo, che fece da apripista alla conquista del premio Nobel per la Letteratura conseguito l’anno successivo.





Back to Top