L'advertising

Questa sconosciuta

    di Silvio Fabris

La pubblicità, un mondo affascinante, accattivante, intrigante, ma lontano, troppo lontano. Se si facesse un’indagine tra la gente, anche in una fascia ottimale di soggetti e informati, scommetto che i risultati sarebbero pressoché i seguenti: 95% interessati a lavorare in campo pubblicitario, 5% informati su come accedere al settore pubblicitario. Perché questa colossale inversione di proporzioni? Semplicemente perché non esiste una via canonica per accedere alla professione.

Per diventare avvocato ci si laurea in giurisprudenza, si fa il praticantato e un esame di Stato per accedere all’Ordine professionale, per diventare medico ci sono la laurea in medicina e l’internato. E per il pubblicitario? L’incognita totale.

Università o Accademie statali specifiche non ce ne sono, e per questo non possono che aggiungere l’ennesima lamentela sull’inefficienza dello Stato e della politica. E le scuole e i corsi privati? Una vera giungla. Mancano informazioni sicure sull’effettiva validità dei corsi e poi i costi sono stratosferici, basati prevalentemente su corsi di grafica fine a se stessa. Viene spontaneo chiedersi: perché tutto ciò? Forse perché noi pubblicitari aspiriamo a rimanere una sorta di casta chiusa? Non credo. Ritengo che questa situazione vada a discapito non solo delle brillanti e creative menti di coloro che aspirerebbero a lavorare nel settore, ma anche delle stesse Agenzie Pubblicitarie, in merito alle quali, ho già chiarito nel precedente articolo (n.15 del 15/12/14) il concetto stesso di Agenzia.

Quali possono essere le vie ufficiali per reclutare del personale capace e preparato, se non esiste uno specifico curriculum formativo da seguire? La giungla dei corsi privati sembra funzionare come specchio per le allodole, per quei giovani oziosi, che bilanciano le loro incapacità con i fondi paterni. Che cosa pretenderebbero le agenzie? Che un giovane studente si lasciasse alle spalle la certezza di una laurea per un corso rischioso e dispendioso?

Una strada così incerta può attirare solo irrazionali avventurieri che pongono il rischio al di sopra di ogni cosa o che sono costretti a fare di un azzardo una virtù, perché è l’ultima carta loro rimasta dopo anni di inconcludenze in altri settori più canonici. E non credo sia questo la tipologia di candidato ideale per una professione, sì creativa, ma anche tanto razionale e ponderata qual è quella del pubblicitario.

E allora perché non creare un organo d’informazione ad hoc? Magari autogestito dalle stesse aziende con la collaborazione delle agenzie di pubblicità (quelle vere…), che fornisca informazioni sicure in modo da trasformare la giungla della pseudo-formazione per aspiranti pubblicitari in un giardino ordinato che riesca a dare preziosi frutti? Sempre che creare dei corsi ufficiali, validi e a buon mercato non sia chiedere troppo.





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