Perche' leggere 'Rovesciare il '68'

Analisi controcorrente degli anni 70 nel libro cult di Marcello Veneziani

    di Mario Vittorio D'Aquino

Rovesciare il ’68 è il necessario saggio del giornalista e scrittore pugliese Marcello Veneziani, editorialista de Il Tempo, pubblicato nel 2008 da Mondadori. “Anno bisesto, anno funesto” è un aforisma popolare che si trascina nel tempo con spettacolare puntualità e squisita retorica. “Bisesto” fu l’anno del 1968, una data che ha cambiato per sempre equilibri sociali e geopolitici già di per sé barcollanti e vetusti. L’ira funesta – appunto – dei “sessantottini”, così denominati i ribelli, i rivoluzionari, principalmente studenti, che s’impegnarono attivamente nel minacciare un sistema governativo, economico e socialmente tradizionale per capovolgerlo, finirono poi per essere parte del medesimo sistema, peggiorandolo secondo l’autore: il ’68 è andato al potere, è diventato conformismo di massa e addirittura un modus vivendi ma i fautori a oggi sono “andati in pensione”.

I sessantottini ora sono diventati sessantottenni e per Veneziani è tempo di trarre un bilancio critico di cosa è rimasto di quel caotico cambiamento di massa e di cosa invece è doveroso superare con la forza e la ribellione creativa della Tradizione.
Le contestazioni si basarono anche sulla liberalizzazione della sfera privata smarrendosi nella concezione mercificatrice del proprio corpo in cui tutto è reso pubblico e nel capriccioso “qui e ora”, ergendo così un “paradiso artificiale individuale, elitario e selettivo” di cui oggigiorno la società è ancora più succube, si legge. “La nuvola di fumo” del ’68 oltre ad apportare un grigio annebbiamento delle menti e delle modalità di socializzazione interpersonale, secondo Veneziani ha minacciato i luoghi di formazione e di apprendimento come università e scuole: tra le cause, lo scrittore denuncia l’ideologia conformista e uniformata del corpo docenti e il boicottaggio dell’autorità del maestro non più inteso come educatore e declassato pericolosamente da questo ruolo. Nelle 175 pagine intrise di ricordi personali, excursus su vicende storiche, racconti di vita vissuta si avverte la fiera battaglia per i valori tradizionali stracciati della loro magnificente imponenza da dopo il ’68 tra i quali la famiglia, in cui secondo l’autore, la figura del padre è stata messa sotto scacco come ogni figura potenzialmente autoritaria, tema ripreso dallo scrittore in un libro successivo dal provocatorio titolo Dio, Patria e Famiglia, e la tendenza catastrofica nel non voler/poter fare più figli. Oppure l’argomento ecologia in cui Veneziani ricorda che culturalmente la preoccupazione per l’ambiente era nata da ideali patriottici, rurali e conservatori facendo due candidi esempi: i Wandervogel, movimento giovanile sorto in Germania alla fine del XIX secolo, ovvero gruppi di studenti medi e universitari che intendevano spezzare le catene della società borghese per tornare alla libertà della Natura e l’elezione del primo Ministro per l’Ambiente, Walther Darré, nel governo nazionalsocialista, nel 1933.

Nel saggio, lo scrittore si diletta anche a profanare i dieci comandamenti cristiani in chiave sessantottina diventati una sorta di mantra nell’ideologizzazione delle contestazioni diffuse a macchia d’olio in tutta Europa. Il braccio di ferro della titanica Tradizione contro il conformazionismo di massa del politically correct (argomento centrale dei nostri giorni) e del marxismo culturale imperante nella lotta anti-borghese sessantottina si racchiude splendidamente in questo saggio non più facilmente disponibile tra gli scaffali delle librerie italiane. “Il ’68 fu un movimento di liberazione ma non di libertà. La liberazione implica il desiderio di emanciparsi anche dalla propria identità, dall’appartenenza a una famiglia, a un luogo, a una lingua, a una religione, a una civiltà, a ogni tradizione. La libertà piena, invece, implica la responsabilità e il dovere, persegue un fine, esige il rispetto degli altri, si coniuga con la tradizione, riconosce il merito personale e la realtà. L’opposto del ’68. È libertà per l’essere e non per disfarsi dell’essere”.





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