Napoli, rialzati con l'oro di Ziviello

Un messaggio d'auguri particolare in una città ancora invasa dai rifiuti

    di Max De Francesco

Nel presepe Napoli, assediato da fatue fiaccolate, tra muschio e monnezza non c’è pastore che non guardi in cielo. Stella cometa non pervenuta. L’unico astro funzionante si chiama Matador e s’illumina nel boato. Nell’osteria e al mercato brama di vivere stazionaria. La grotta sgarrupata del Salvatore è lontana: lungo il cammino pecore, puttini, sarchiaponi e tarantelle. Verso la mangiatoia, nutrito è il gruppo dei cantori della depressione. Nel caos della notte, contro i diavoli del disfattismo, il più bel dono per il Bambino Gesù è l’oro di Ziviello, eroe col talento di raggirare le imboscate del destino, protagonista del primo racconto de “L’oro di Napoli” di Giuseppe Marotta. Gobbo e iellato, ingegna le più strampalate soluzioni per «la campata»: da venditore di lupini a suonatore di un pianino ambulante, da confezionatore di fuochi d’artificio a portinaio, da chitarrista nei festini nuziali a maestro di musica nella buca di una bomba. Proprio così: il bombardamento del 1943 spazzò via il «basso» di don Ziviello che, pur di non allontanarsi dai suoi allievi, trovò alloggio nella voragine prodotta da una bomba, «improvvisandovi un tetto di lamiera». Ammalata di fierezza, la sua Napoli ignorava la filosofia del piagnisteo, la strategia della supplica. «Ciò è molto importante - scrive Marotta -, suggerisce qualche considerazione: la possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta; una remota, ereditaria, intelligente, superiore pazienza. Arrotoliamo i secoli, i millenni, e forse ne troveremo l’origine nelle convulsioni del suolo, negli sbuffi di mortifero vapore che erompevano improvvisi, nelle onde che scavalcavano le colline, in tutti i pericoli che qui insidiavano la vita umana; è l’oro di Napoli questa pazienza». Nella città-presepe di oggi, l’oro di Ziviello è la possibile vittoria sull’angoscia e sul buio. La stella cometa da ritrovare.  
 

 





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