Le ragioni del fato

Il segno del Cancro e il mito di Edipo

    di Rosamaria Lentini

“È nel Cancro che si riflette il mito d’Edipo: l’individuo vivente ha in sé il segreto bisogno inconscio di tornare sempre alla Madre nella dimensione notturna della Luna, emersione di tutte le silenziose nostalgie, degli struggenti rimpianti”.

Sono parole di Roberto Sicuteri, molto belle, che in nulla fanno pensare alla crudezza del mito a cui si riferiscono e che in estrema sintesi riporto di seguito.

Quando Laio, re di Tebe, viene a sapere dall’oracolo di Delfi che avrebbe avuto un figlio che lo avrebbe ucciso, che avrebbe sposato la madre e causato la distruzione della casa, ripudia la moglie Giocasta. Ma lei con un sotterfugio si unisce a lui, rimane incinta e partorisce un bambino che, appena nato, abbandona sul vicino monte Citerone. Al neonato, trovato da Peribea, moglie del re Polibo e portato alla reggia di Corinto, è dato il nome di Edipo, cresciuto e amato come un figlio.

Divenuto adulto, Edipo dall’oracolo appura che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, per cui si allontana immediatamente da Corinto e s’incammina verso Tebe. Durante il tragitto a causa di un diverbio uccide un uomo e con questa morte, a sua insaputa, dà l’avvio alla profezia perché il morto è Laio, il suo vero padre.

Prima di giungere a Tebe, Edipo incontra la Sfinge, un mostro con testa di donna, corpo di leone, coda di serpente e le ali, un chiaro simbolo di una femminilità perversa e pericolosa. Ad ogni passante la Sfinge sottoponeva un enigma che, non risolto, condannava il malcapitato ad essere divorato. Edipo trova la giusta soluzione e la Sfinge muore. L’aver liberato Tebe da questa calamità fa sì che Edipo sia nominato re e prenda in sposa sua madre Giocasta. Con lei regna diversi anni ed ha anche dei figli, due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene. Tutto procede bene fino a quando sulla città si abbatte una terribile peste ed Edipo, recatosi a Delfi per sapere cosa fare, ha il responso che l’epidemia sarebbe cessata dopo la punizione di colui che aveva ucciso Laio. Quando l’indovino Tiresia rivela tutta l’orribile verità, Giocasta si uccide, Edipo si trafigge gli occhi e dai due figli viene cacciato da Tebe. Parte accompagnato dalle figlie e dopo un lungo peregrinare muore a Colono, sobborgo alle porte di Atene.

Antigone e Ismene allora tornano a Tebe. I gemelli Eteocle e Polinice in un duello si uccidono l’uno con l’altro, il nuovo re Creonte assicura a Eteocle i riti funerari e la sepoltura, mente si rifiuta di farlo per Polinice; Antigone, accusata di aver dato sepoltura al cadavere del fratello contro la volontà di Creonte, è condannata a trascorrere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta fino a quando porrà fine alla sua vita, impiccandosi.

Con la morte di Antigone si compie l’intera profezia, perché dell’intera famiglia dei Labdacidi si salva la sola e mite Ismene.

Considerata nella sua interezza, ancor più che ristretta alle vicende del solo Edipo, la storia appare condotta da un fato inarrestabile al cospetto del quale nulla può nulla. Ma perché una stirpe così antica come quella dei Labdacidi deve estinguersi? Quale disegno perseguivano gli dei ideatori di tale sterminio?

Gli antenati di Edipo erano Cadmo e Ctonio: il primo con l’alfabeto aveva regalato ai Greci la scrittura, quindi il pensiero, il logos, l’Anima Razionale, il secondo era uno Sparto, ossia un “nato dalla terra”. In Edipo, perciò, coesistevano due nature, una solare, apollinea, aperta, l’altra lunare, notturna, ermetica. È con la prima che lui risolve l’enigma della Sfinge, la cui parola/chiave è appunto “l’Uomo”, ma la seconda lo porta inesorabilmente a tornare simbolicamente figlio di Madre Terra, oltre che di Giocasta che lo aveva generato.

La cecità di Edipo come il buio della grotta nella quale viene rinchiusa Antigone appartengono al mondo lunare, il mondo della notte che deve morire con loro. Antigone, che non potendosi dissociare dalla legge dal clan, prima accompagna il padre fino alla sua morte e poi seppellisce il fratello a costo della sua vita, è anch’essa una Grande Madre che deve restituire alla terra chi da essa è nato e la mite Ismene, l’unica della stirpe che si salva, è il nuovo modello di donna che sostituisce il precedente.

Credo che in nessun altro mito sia così chiaro l’affermarsi del pantheon olimpico solare su quello terrestre lunare e credo che sia anche chiaramente tratteggiato l’ideale greco dell’uomo, come di colui che, nato con la doppia natura animale e spirituale, deve dedicare la vita a staccarsi quanto più possibile da ciò che “lo tira e trattiene in basso” per elevarsi verso le vette luminose, quelle dove risiede Apollo.





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