Per un pugno di Oscar

Com'è cambiata in peggio la notte delle statuine. Italia a bocca asciutta. Tributo a Il padrino

    di Mario Vittorio D'Aquino

Quando un uomo che fa una battuta incontra un uomo incazzato, l’uomo che fa una battuta è un uomo morto. E’ andata più o meno così il misero spezzone nella notte degli Oscar che ha visto protagonisti il noto attore (premiato la stessa sera) Will Smith, sua moglie e il comico e presentatore dello show Chris Rock. La vicenda è ormai nota a tutti: l’anchorman inizia a sbeffeggiare il pubblico, finché non è toccato alla moglie di Will Smith, la quale è stata paragonata al soldato Jane (nel film interpretato da Demi Moore che si rasa i capelli a zero) per la sua alopecia. Il marito sembra incassare e ride. Pochi secondi dopo si alza e vis à vis, con un’aria di sfida proprio come nei film de La trilogia del dollaro di Sergio Leone, colpisce al volto Chris Rock che imbarazzato continua la serata.   

La cinquina di Smith - più che opera del grande regista italiano magari può essere paragonata ad una scazzottata alla Bud Spencer in Lo chiamavano Trinità - è un qualcosa che semplicemente scardina quell’attico “ridicol chic” che è diventata la notte degli Oscar. Perché si domanderanno lettori. Perché tale episodio avviene nel più prestigioso salotto mondano, nel quale le maggiori personalità del mondo occidentale istruiscono ogni anno la "plebe ignorante" su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, elargiscono sermoni e moralismi sui cambiamenti climatici, sul maschilismo tossico, sul patriarcato, sul razzismo, in un vortice di colpevolezza mista al biblico politically correct in cui il cinema americano si è ormai disperso.

Ed ecco che a vincere sono attori, idee, registi che vengono premiati in un concetto più ampio del merito o – detta in maniera più aggraziata – per un motivo velato. Miglior attore va proprio a Will Smith, campione della frustrazione di una coppia aperta di cui lui stesso si fa promotore, per l’interpretazione del padre delle due sorelle Williams campionesse del tennis. Ariana DeBose (in West Side Story) come attrice non protagonista, Jane Campion miglior regista (in Potere del Cane), Encanto come miglior film d’animazione. Tutte premiazioni “apparecchiate” da prima della serata al Dolby Theatre, il che sembra avvalorare la tesi che a orientare i premi sono le caratteristiche socio-politiche (il gender, l’appartenenza a una minoranza e la sua rappresentazione, le preferenze sessuali, l’apertura al diverso) e non certo quello che una volta si chiamava lo “specifico cinematografico”. Come succede d’altra parte al Festival di Sanremo. Per non parlare del fenomeno Coda – I segni del cuore che ha scopiazzato la pellicola francese La famiglia Bélier, storia di una famiglia di sordomuti ad eccezione della figlia sedicenne che vuole studiare canto e che ha premiato come miglior attore non protagonista un attore sordomuto, per l’appunto.

E l’Italia? Nulla, solo candidature. Troppo bianco era probabilmente il protagonista del film d’animazione Luca, il cui creatore ha deciso di ambientarlo a Genova, incompresa invece E’ stata la mano di dio di Paolo Sorrentino. Sonoro, scenografia, montaggio, fotografia ed effetti speciali sono stati appannaggio di Dune. Mentre per la miglior sceneggiatura originale è stata premiata la pellicola di Belfast, probabilmente il prodotto più interessante dell’edizione. Quello che avrebbe dovuto stravolgere la serata con 12 nomination – Il potere del cane – termina con solo una, come detto, quello della miglior regista.

Infine a mani nude i film Marvel (almeno questa ce l’hanno risparmiata). Meritevole di menzione è stata la standing ovation riservata a Robert De Niro, Al Pacino e Francis Ford Coppola per i cinquant’anni dalla prima uscita de Il padrino. Un omaggio dovuto ad attori di un cinema che non esiste più. Infatti si preferisce da tempo mandare in scena uno spettacolo squallido, ricco di cliché da salotto, borioso ma che si è sempre riuscito a salvare grazie alle eminenti figure – loro sì, privilegiati – che si affaticavano sul palco a chi la sparava più grande sui temi dell’inclusione e del progresso (scientifico e non). Invece, lo schiaffo sulla guancia di Rock, da lunedì, lo ha subito anche la scena cinematografica americana tutta che si è spogliata – forse definitivamente – di una stucchevole moralità. Il re è nudo e ora a saperlo è il mondo intero.





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