Sons of Anarchy, il potere della rabbia

Perche' vedere su Disney la serie tv 'cult' sul clan dei motociclisti californiani

    di Mario Vittorio D'Aquino

Alcune serie, più di altre, hanno bisogno di essere viste in momenti precisi nella nostra vita per poter apprezzare al meglio il flusso del racconto. In questo periodo storico in cui è stata messa in fuorigioco la socialità e l’istinto ancestrale dell’unirsi in gruppo, in una lega, in un clan (termine che ha assunto immeritevolmente un significato esclusivamente dispregiativo) è importante recuperare una serie che si addentra nel nostro abisso interiore sino a bussare alle porte della universale filosofia shakesperiana dell’essere: Sons of Anarchy.

Uscita nel 2008, conclusasi nel 2014 e disponibile in streaming su Disney+, gran parte delle vicende raccontate nella serie si svolgono in una cittadina fantasiosa della California, Charming. A fare il bello e il cattivo tempo qui è il Sons of Anarchy Motorcycle Club Redwood Original (o SAMCRO), un gruppo di centauri che ha come base operativa l’officina della città. Sin da subito si entra in un contatto viscerale dei membri del club: dal leader Clay Morrow, interpretato da Ron Perlman, al suo braccio destro e figliastro Jackson “Jax” Teller (Charlie Hunnam), dai membri più anziani Bobby (Marc Boonie Jr), Tig (Kim Coates), Piney (William Lucking) e Chibs (Tommy Flanagan), ai più giovani Opie, amico fraterno di Jax interpretato da Ryan Hurst e Juice (Theo Rossi). E poi c’è Gemma, madre di Jax e ora moglie di Clay, uno dei personaggi più affascinanti della serie, perfettamente interpretata da Katey Sagal. Le vicende si concentrano inevitabilmente su Jax Teller - figlio di John, il fondatore dei SAMCRO - il kalos akai agathos, bello e virtuoso, che ha la smania di rivoluzionare la gerarchia del circolo e di ripristinare l’antico equilibrio di quando a comandare il club era il padre. Lo scontro al vertice toccherà un punto di non ritorno, soprattutto quando il giovane ritrova tra le sue mani un manoscritto del suo vecchio in cui emerge una verità scottante.

In uno scenario in cui l’America profonda marca fieramente il territorio, i Sons si vedono impegnati a intrattenere affari con diverse gang della città: i Niners (neri), la banda di Lin (cinesi),i Mayans (messicani da cui nasce lo spin-off omonimo), l’IRA (irlandesi), i neonazisti ma anche con sceriffi e federali corrotti. Nessuno esce immacolato dalla perdizione di Charming.

La serie è un tracciato di quello che Jack Donovan, scrittore americano, definisce la via degli uomini in cui viene catturata la rabbia silenziosa e soffocante di chi si sente in conflitto con un mondo moderno iper-regolato, iper-civilizzato e de-virilizzato e, proprio per questo, sceglie la via dell’anarchia. È un sovversivismo che rispetta però dei codici e dei canoni molto severi: le decisioni importanti vengono prese in gruppo e con approvazione unanime dei membri - è solo uno degli esempi - come quello di dover indossare i giubbotti identitari del club raffiguranti l’oscura mietitrice che impugna un fucile, messaggio di morte e guerra che non conosce vie di salvezza.

Il prodotto di Kurt Sutter, con una costruzione meticolosa e coerente di ogni personaggio, così come la ciclicità degli eventi che sembrano già scritti, in cui si tiene in vita una trappola infinita, un vortice di violenza e tradimenti, una fratellanza da custodire -  e rimandandosi in maniera netta alla tragedia de L’Amleto sotto mentite spoglie - è anche un insegnamento alla redenzione, alla fede nell’ideale, all’onorare la parola data.

È profondamente errato pensare che la sceneggiatura sia esclusivamente dedicata ad un pubblico al “maschile plurale”, anche se non fa che rimarcare un’atmosfera tutt’altro che delicata nei modi, nei gesti, nelle parole. A ricamare la trama e decidere il destino dei membri del SAMCRO è di fatto la ferrea controparte femminile, soprattutto quella di Gemma conscia di dover mantenere un labile equilibrio tra i tanti galli del pollaio.

In altri termini Sons of Anarchy, tra una sgasata di moto e una cicca di sigaretta appena spenta, è una serie che gioca con la religione, si fa lustro della letteratura, bivacca con l’etica, si maschera di morale, entra in overdose di adrenalina, si prostituisce con la vendetta, è tatuata di conflitti, convive con la solitudine ma perde a scacchi con la rassegnazione. 





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