Yara, il delitto diventa film parziale

Su Netflix l'opera di Tullio Giordana sull'omicidio di Yara Gambirasio

    di Mario Vittorio D'Aquino

Nel catalogo Netflix è uscito il film Yara che intende ripercorrere il caso che ha scosso l’Italia ad inizio decennio scorso: l’omicidio della tredicenne bergamasca Yara Gambirasio. La storia degli ultimi momenti della giovane vittima è tristemente nota a tutti: il 26 novembre del 2010 Yara, una ragazzina di Brembate di Sopra, esce da casa dirigendosi in palestra per la consueta lezione di ginnastica ritmica. La tredicenne non farà mai più ritorno nella propria abitazione. Yara verrà infatti ritrovata tre mesi dopo, nel febbraio 2011, in un campo di Chignolo d’Isola, nel Bergamasco, deceduta per stenti e ipotermia a seguito di violente percosse subite ai suoi danni senza però segni di violenza sessuale.

Yara è quindi il lungometraggio da molti tanto atteso. Diretto Mario Tullio Giordana e prodotto da Taodue film, gli autori hanno cercato di far luce su un caso che tutt’oggi scatena tantissime polemiche mancando però completamente l’obiettivo. Costruito in una parziale e omissiva ricostruzione, la pellicola non si spende né a pontificare la vita della tredicenne né si concentra sulle molteplici controversie che hanno portato all’arresto di “Ignoto 1” compatibile con la figura di un operaio di fabbrica, Massimo Bossetti, ma è un’apologia stucchevole e generosa, in salsa Netflix, su Letizia Ruggeri (interpretata da Isabella Ragonese), la PM che ha seguito il caso, dipinta come donna infallibile e raggiante che deve sgomitare in un ambiente di uomini maschilisti. I dialoghi, le frasi e le interpretazioni risultano frammentate, piatte, spezzate, incomplete.

Il film lascia lo spettatore attonito, nell’attesa che qualcosa si sblocchi, che prenda una posizione. Invece i momenti più importanti sono impliciti, talvolta illogici, un po’ come l’accusa che pende sul presunto omicida che da sempre si dichiara innocente. Anche il contatto che ci sarebbe stato tra Yara e Bossetti, presumibilmente sul camion di lui, ancora è incerto: non si sa se la ragazzina fosse salita volontariamente o dopo qualche strattone, si sa solo che tracce di fibre tessili corrispondono a quelle del sedile del camion di Bossetti. Oppure come le ricerche comparse sul computer di Bossetti definite “latamente pedopornografiche” in cui  si tratta in realtà di frammenti di stringhe che nei siti hot si aprono passando con il mouse sopra a icone che mostrano una sorta di preview del video”, come riporta la difesa. Tutto questo nel film è raccontato in maniera superficiale ed effimera.

La stampa, l’opinione pubblica e la magistratura, prima e dopo il ritrovamento del corpo, chiedono una testa: la prima a saltare è quella di Mohamed Fikri, un marocchino che sarà scagionato, detenuto per un errore nella traduzione di una frase detta al telefono messo sottocchio dalle forze dell’ordine. Nel film è stato inserito anche un politico che nella realtà dei fatti non esiste – presumibilmente della Lega, ma non possiamo dirlo con certezza – che, intervistato, inveisce contro gli inquirenti poiché il marocchino sarebbe, secondo lui, sicuramente colpevole.

A poche settimane dall’archiviazione di un caso clamoroso e con il CSM che avrebbe voluto indagare sull’operato della Ruggeri, la seconda testa a saltare è quella di Massimo Bossetti, il cui DNA nucleare è risultato compatibile con quello di Ignoto 1, ritrovato in tracce anche su gli indumenti di Yara. Come si arriva alla compatibilità tra il DNA e il quarantaquattrenne è uno specchio di come la giustizia italiana sia garantista o giustizialista a seconda delle vicende, in cui viene accusato un uomo all’ergastolo non “sopra ogni ragionevole dubbio”: sono stati allestiti infatti stand – con la spesa dei contribuenti poiché in Italia non esiste una “banca del DNA” – per fare screening a tutti i volontari pur di trovare delle tracce che si avvicinano più possibile a quelle di Ignoto 1. I risultati hanno portato alla compatibilità sul lato paterno di un giovane, Daniele Guerinoni, che ai tempi dell’omicidio si trovava all’estero. Da lui si risale a Giuseppe Guerinoni, papà di Ignoto 1 e già deceduto. Solo dopo molti tentativi si scopre che questi abbia avuto una relazione extraconiugale da cui è nato Massimo Bossetti, che ha ereditato l’allele dalla madre, Ester Arzuffi, il cui DNA corrisponde alla metà materna di Ignoto 1.

Alla luce di questi reperti, il 1 luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo condanna Bossetti al massimo della pena per omicidio pluriaggravato. Dal 2016 (anno della condanna di Bossetti) ad oggi, più volte la difesa ha chiesto al tribunale di avere accesso ai reperti biologici per una nuova valutazione. Richiesta fino ad ora sempre respinta al mittente.

Per concludere le discutibili direttive con le quali gli autori hanno voluto proporre una pellicola parziale che scade quasi nell’apologetico, la difesa, come affermato dal rappresentante legale di Bossetti, Claudio Salvagni, e lo stesso vale anche per la famiglia della vittima, non è stata interpellata per esprimere un parere sulla produzione di Yara, unica vittima – lei – di uno squallido gioco di parti che presenta più ombre che luci.





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