Mestieri dimenticati

Al Circolo Ufficiali della Marina di Napoli Giulio Mendozza e Nora Palladino

    di Maria Regina De Luca

In una serata di fine ottobre ancora densa di umori estivi, il recente concerto al Circolo della Marina Militare, in via  Cesario Console, ha fatto rivivere la Napoli di qualche secolo fa con le sue strade, i suoi mestieri, le sue canzoni. Mestieri scomparsi, termini desueti, ma fluiti nella memoria attraverso una fitta letteratura in materia dove la ricerca ha per oggetto non solo testimonianze di scrittori e studiosi, ma anche targhe viarie e canzoni. Nora Palladino, che la sagacia interpretativa  consente di spaziare liberamente tra i “generi” e Giulio Mendozza, scrittore, poeta, studioso dedito a dar vita alla città e alla sua storia, ci conducono attraverso la lunga tradizione dei mestieri di Napoli e delle sue molteplici culture.

La paziente ricerca e la scelta delle canzoni riescono a stanare dai loro nascondigli segreti parole che ci rivelano, attraverso lo studio delle radici antiche, i loro significati. Non è solo a una interessante caccia al tesoro che c’invitano i nostri artisti, ma alla ricerca di valori perduti, a quei mestieri antichi e a quelle strade che da essi prendevano il nome e che sembrano sfidarci a indovinare chi siano i Lammarari, i Mannesi, il perché quella chiesa, chiusa da decenni, a via Medina, è dedicata a San Giorgio dei Genovesi e la vicina strada si chiami Rua Catalana; perchè nel decumano centrale alloggi una statua del Nilo con tanto di strada dedicata a lui, che cosa significhi Melofioccolo, il vicolo che si apre su via Sedile di Porto, nome glorioso che ricorda un altro dei primati di Napoli, quello delle “municipalità” o meglio dei Sedili, ma sarebbe pericoloso inoltrarci per questi vichi e vicarielli del nostro passato remoto.  Fermiamoci ai nomi che molti di essi hanno assunto dai mestieri che vi si svolgevano, a Via Arte della Lana, dei tempi in cui Napoli eccelleva nella filatura della lana e del lino; a vico Scassacocchi, che non si sa se assume il nome dagli aggiustatori di carrozze o dai cocchi che si rompevano passando sul suo selciato dissestato; a piazza Arenella, via Argine e ai molti nomi legati alla configurazione geografica della città; all’antica Nfrascata, che ha nel nome la sua gouache luminosa e nelle canzoni le sue donne, delle quali la più bella è Margarita, parola di Libero Bovio (Guapparia, Bovio-Falvo, 1914).

Mille canzoni e personaggi che in esse si presentano, e questa Lavannarè di Viviani non potrebbe essere più aggraziata, mentre Rocco Galdieri esige piccole ma incisive torture dalla capera, dal corsettaro e dallo scarparo su Caterina, l’amante infedele o perduta (Galdieri-Capolongo,‘O core ‘e Catarina, 1907). L’acquaiola palpita vividamente in ‘Ndringhete ‘ndrà di Cinuegrana-De Gregorio (1895) e non sapremo mai il perché del suo rifiuto d’amore al quale i rassegnati pretendenti si adeguano. Non si adegua invece Ferdinando Russo al trattamento della sua Pertusara, la sarta specializzata in occhielli, che egli accusa di avergli “spertusato” il cuore mentre è più benevolo con chi i colli e i polsi spertusati li imposima con abile dosaggio d’acqua e amido, la stiratrice anzi ‘E stiratrice’ (1888), tre sorelle con bottega all’Infrascata. Anche Langella-De Angelis nel 1956 inneggiano a una Stiratrice mentre E.A.Mario indugia, e indulge, su due mestieri, quello del “masto d’ascia” e quello, quasi scomparso della “mpagliasegge”, genitori della figlia che è una vera meraviglia e che ha attirato nel Vascio, dove è nata e dove vuole vivere, l’innamorato pronipote di titolati, un po’ restio a deporvi il suo blasone (‘O vascio, 1946). 

La Lattara la consegnano al futuro De Crescenzo e Rendine nel 1945 e i due Cioffi, Giuseppe e Luigi, tratteggiano due gioventù infelici in ‘O Rammariello (1952) e Core ‘e sapunariello (1953). Queste e molte altre canzoni, splendidamente interpretate da Nora Palladino accompagnata dal maestro Paolo Rescigno, si alternano alle “lezioni” di Giulio Mendozza. Il “paternostrano” non è un orante per mestiere, ma uno che costruisce  corone del Rosario con i semi di carruba: dieci ave, pater e gloria per Mistero ce ne vogliono carrube e pazienza per fare questo mestiere nel quale il lavorante espia molti dei suoi peccati, anche senza recitare i “pater”.

Del “Franfelliccaro” qualcuno dei presenti forse ricorda i bastoncini di zucchero colorato venduto su antigieniche bancarelle e il “solachianiello” è un mestiere che vanta ancora qualche superstite ma il “conciatiane” che cuciva con un filo di ferro dolce e mastice le tiane e i piatti rotti è più antico…e la “tiana” non è che il ‘”Tèganon”, nella  lingua greca delle origini. Il ricottaro con le sue fuscelle straripanti di un’ aerea ricotta forse esiste ancora, ma pochi sanno che “fuscella” viene da “fiscus”, cesto, nel quale i pubblicani, gli esattori del tempo, ponevano le somme incassate. Alternandosi con le lezioni di Giulio Mendozza, la messe di canzoni che Nora raccoglie per noi ci riannoda a un passato che traluce, incantevolmente, dalle espressioni linguistiche ormai desuete, dei motivi che si modellano sui versi in  insuperata sintonia. Si potrebbe parlare ancora della intensa serata che ha visto attenti partecipi gli ascoltatori e impegnati con brio e intelligenza i protagonisti. Bisogna dar merito all’organizzazione del Circolo, alla dottorezza Longarzo e a tutti quanti collaborano alla riuscita degli eventi e, tanto per restare in argomento, va detto che in quest’area, nel palazzo detto della Panatica, venivano preparate le gallette per la Real Marina del Regno delle Due Sicilie. Il Palazzo fu prima sede della Reale Accademia Militare del Regno che diventerà La Nunziatella. Abbattuto durante i lavori del Risanamento, al suo posto viene eretto il Palazzo della Marina Militare, sede del Circolo Ufficiali della Marina con ingresso in via Cesario Console che ha ospitato il concerto oggetto di queste note. E a quei mestieri e a quanti hanno intagliato il legno per mobili da re, intrecciato ferro per cancelli e pergolati, giunchi per cesti e sedie e gli infiniti accessori di edifici e case e ville e che non sono entrati nell’albo d’oro degli architetti e degli scultori dedichiamo questa aurea frase di San Francesco d’Assisi.: “Chi lavora con le mani è un operaio, chi lavora con le mani e con la testa è un artigiano, chi lavora con le mani, con la testa e col cuore è un artista”. E ai nostri addetti ai mestieri perduti possiamo dare, senza temere smentite, questo titolo. 





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