'O carusiello

Il salvadanaio in terracotta, custode senza età dei sogni dei bambini

    di Amedeo Forastiere

Sarò l’eterno romantico innamorato della propria città, in particolar modo quella antica, o un nostalgico dell'infanzia, ma spesso sento il bisogno di passeggiare tra i vicoli dove da ragazzo mi aggiravo con qualche amico e insieme sognavamo il futuro. Lo volevamo moderno, che cancellasse le cose antiche, le botteghe degli artigiani, dei fruttivendoli, dei pescivendoli, che pubblicizzavano la propria mercanzia cantando a squarciagola.

La passeggiata che più amo è quella a San Gregorio Armeno, dove il tempo si è fermato tra botteghe di pastori e artigiani del presepe. Da ragazzo certe cose non le guardi con interesse, gli occhi li cattura qualche bella piccerella che passa, scampanianno pe’ se fa guarda’. 

Tutte le volte che passeggio per San Gregorio, c’è sempre qualcosa che attira la mia attenzione, come se fosse nuova, poi la guardo bene e mi accorgo che è vecchia, come quei vicoli che in tanti anni non sono cambiati per niente. Mi fermo vicino a una vecchia bottega di pastori. Qui i pastori si vendono tutto l’anno, anche d’estate, e tra le statuine tradizionali c’è sempre qualche calciatore o un personaggio della politica. Lì ho notato un vecchio salvadanaio di terracotta: ‘o carusiello.

Così lo chiamavamo una volta, adesso non so. Mi son detto: se lo vendono ancora vuol dire che c’è qualcuno che tiene viva la vecchia tradizione do’ carusiello. I ragazzi d’oggi hanno quasi tutti il salvadanaio, a volte lo fanno da sé, basta prendere una scatola vuota dei gelati, quella in polistirolo, sigillarla ai lati con dello scotch, aprire una piccola fessura sopra e si ottiene il salvadanaio…‘O carusiello, invece, è un’altra cosa. Da ragazzo lo avevo anch’io.

Erano tutti uguali, differivano tra di loro solo nella misura. Io preferivo quello medio, era più facile riempirlo, perché il proposito era quello. Bisognava personalizzarli, così da evitare che si potessero confondere con quelli dei fratelli. Oltre a scrivere il mio nome, mi divertivo a colorare di rosso il pomello come il naso dei clown, poi disegnavo gli occhi e alla fessura per introdurre le monete scarabocchiavo le labbra, così diventava la bocca mangia soldi. Gli davo un aspetto buffo, ma anche un’anima, e quando diventava pesante, perché le monetine aumentavano, lo vedevo come un vecchio panciuto che aveva mangiato tanto.

Era lo scrigno dei sogni, dei desideri. Ogni monetina che ci donavano i parenti, la nonna, la vecchia zia, la davamo da mangiare a o’ carusiello. Con i soldini raccolti potevamo comprare finalmente tutto quello che volevamo, o quasi. In particolar modo quei giocattoli che i nostri genitori ci negavano perché costavano troppo.

Il nostro salvadanaio, ‘o carusiello, doveva essere rigorosamente di terracotta. Qualcuno negli anni Sessanta, con l’avvento della plastica, provò a mandarlo in pensione, ma non ci riuscì. I ragazzi un po’ corti di maniche, invece, usavano il barattolo dei pelati ‘a buatta, ma non era la stessa cosa. Qualcun altro, avaro ma di classe, sicuramente nipote di don Arpagone (l’avaro di Molière), per non romperlo ed essere costretto a comprarne un altro, cercava di tirare fuori le monetine con l’aiuto della lama di un sottile coltello, attraverso la fessura, ma la tradizione imponeva che a fine anno ’o carusiello dovesse essere rotto con una secca martellata che lo sgretolava tutto.

Tra i cocci di terracotta contavamo le monete, man mano che la cifra cresceva il rosso della commozione sulle guance aumentava di densità. Costava poco il carusiello, in questo momento non ricordo quanto, ma sicuramente pochi spiccioli. Lo costruiva lo stesso artigiano che realizzava i pastori, ‘o pasturaro. Bastava un pugno di terracotta, umido e morbido da modellare. Veniva messo in una forma di gesso, poi nel forno per la cottura, poco tempo ed era fatto, semplicissimo. In poche ore l'artigiano ne realizzava tanti, poi li metteva esposti tutti in fila come dei soldatini.

‘O carusiello non era solo il custode delle monetine, ma anche lo scrigno dei sogni, dei desideri da realizzare, di una parte di vita. In questo non eravamo diversi dai bambini di oggi: ai salvadanai si affidano ancora i sogni.

Prendo in soccorso per chiudere dei versi da una canzone di Pino Daniele, Lazzeri felici, che rende evidente il significato del carusiello come simbolo di sogni, speranza e vita: Chesta musica ca e’ mariola pe’ dinto ‘e carusielle s’arrobba ‘a vita e sona sapenno ca e’ fernuta.

Alla prossima, ragazzi.





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