Piromani e pennacchi

Torna il fumo sul Vesuvio, ma non è il famoso sbuffo delle gouaches

    di Amedeo Forastiere

Nella notte un incendio si sviluppò nei quartieri poveri e malsani della città. Un luogo dove le costruzioni erano quasi tutte in legno. Divampando subito, fin dal primo giorno le fiamme distrussero l’intero quartiere, favorite dalla stagione canicolare (il nome deriva dal latino Canicola: piccolo cane, ovvero la stella più luminosa-Sirio, della costellazione del cane Maggiore, che sorge e tramonta con il Sole – Levata eliaca, il periodo appunto della “canicola”. Il nome della costellazione deriva probabilmente dagli antichi Egizi, in quanto avvertiva, come un cane vigile, l’arrivo del caldo torrido). Era, come racconta la storia, il 18 luglio del 64 d.C., Nerone incendiava la sua Roma. Molto probabilmente il primo piromane fu lui. La dinamica del fatto non è mai stata chiara: fu un progetto dell’imperatore, il modo più sbrigativo per la realizzazione del piano regolatore o solo un attacco di follia? A distanza di secoli, ancora oggi non si riesce a dare una risposta plausibile; ammesso che per un incendio provocato dall’uomo ci possa essere una qualche plausibilità.

Il 18 marzo del 1944, quando Napoli era tutta sgarrupata dai bombardamenti, il Vesuvio ebbe la sua ultima eruzione. Le due precedenti furono il 4 ottobre 1929 e ancora prima il 4 marzo 1906. Durante le pause tra un’eruzione e l’altra, dentro il cratere era presente un piccolo conetto dal quale fuoriusciva quasi ogni giorno un pennacchio di vapore che era diventato una delle caratteristiche di Napoli, immortalato da tanti pittori paesaggisti, che fecero del fenomeno vulcanico il simbolo di Napoli…o’ pennacchio.

Dalla mia camera da letto vedo il Vesuvio. Pochi giorni fa mi sveglio e vengo attratto da un’enorme nuvola di fumo: il Vesuvio ha ripreso a fumare? Da quando sono venuto al mondo, non c’è mai stato il fumo sul Vesuvio, per cui è la prima volta che vedo lo spettacolo del pennacchio. Guardando meglio mi accorgo che quel ciuffo di vapore non è sulla cima, ma un po’ più giù. Allora cosa è? Mi sono chiesto. Non voglio credere alla chiara visione, tra il grigio fumo, i lampi di fuoco, allora non è il vecchio “pennacchio” che ritorna a farsi vedere per la gioia dei napoletani e dei turisti.

Poggio i gomiti sulla ringhiera del balcone per avere una visione più precisa di cosa sia quello strano fumo. Con rammarico e tristezza devo riconoscere che quel fumo che s’innalza su nel cielo fino ad arrivare all’inferno non è il vecchio e caro pennacchio, il civettare della nostra “montagna”, ma l’incendio di piromani senza amore per la natura. Le ipotesi sono tante dal solito piromane folle, al doloso a scopo di lucro. La sostanza non cambia, il Vesuvio, o come lo chiamava Libero Bovio, a’ muntagna sta bruciando e l’erede di Nerone ha colpito ancora. Altre volte ho visto bruciare la montagna ma stavolta è spaventoso, il piromane ha fatto “un capolavoro”, ci si è messo con impegno assoldando il killer vento, lavorando con furia. La mia camera da letto è invasa da un disgustoso odore di bruciato, il fumo mi secca la gola, che già si è ristretta dal dolore per la violenza che sta subendo a’ muntagna. 

Comm’è bella ‘a muntagna stanotte bella accussì, nun ll’aggio vista maje. N’aneme pare, rassegnata e stanca, sott’a cuperta ‘e chesta luna janca. Così cantava Libero Bovio nei suoi versi dedicati al Vesuvio del 1915. Guardando lo spettacolo che mi si presenta davanti modifico (il poeta me ne perdoni): rassegnata ‘e stanca sott’a cuperta…e fuoco e fummo.

C’era un vecchio uomo chiamato Vesuvio che studiava le opere di Vitruvio. Quando le fiamme bruciarono il suo libro prese a bere. Quel morbido e vecchio uomo chiamato Vesuvio.

Alla prossima ragazzi.





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